Commento ai Numeri

Commento ai numeri del movimento cooperativo

Rapporto 2012

Nel 2012 il prodotto mondiale è cresciuto del 3,2%, contro il 4,0 del 2011. Il rallentamento ha interessato sia le economie avanzate, il cui tasso di sviluppo è diminuito all’1,2% (dall’1,6 del 2011), sia quelle emergenti, dove la crescita è scesa dal 6,4 al 5,1%.

I modesti risultati dell’attività economica nei principali paesi avanzati hanno riflesso gli effetti della crisi del debito sovrano nell’area dell’euro e l’incertezza in merito alla politica di bilancio negli Stati Uniti. In questo paese, come in Giappone, la crescita del PIL è stata modesta; ha ristagnato nel Regno Unito; è stata negativa nell’insieme dell’Unione europea.

Nei principali paesi emergenti e in via di sviluppo il ritmo di espansione del prodotto è stato tra i più bassi dell’ultimo decennio, frenato dal forte rallentamento della spesa per investimenti e dall’indebolimento della domanda estera. In Cina nella prima metà dell’anno l’attività economica ha ancora risentito delle misure restrittive al settore immobiliare introdotte nel 2011; successivamente ha inciso negativamente il calo di fiducia delle imprese più orientate alle esportazioni. In Brasile e in India gli investimenti hanno risentito delle rigidità dell’offerta, essenzialmente dovute ai ritardi nelle riforme strutturali e all’incertezza del quadro regolamentare. In Russia la flessione degli introiti da esportazioni di petrolio ha indotto un rallentamento della spesa pubblica e degli investimenti nel settore estrattivo.

L’orientamento espansivo della politica monetaria nelle maggiori economie avanzate si è ancora accentuato, in assenza di pressioni al rialzo sui prezzi. I tassi di riferimento si collocano su livelli straordinariamente bassi; si è accresciuto inoltre il ricorso a misure non convenzionali. Tra la fine dell’anno e i primi mesi del 2013 la Riserva federale ha innovato la strategia di conduzione e comunicazione della politica monetaria, per aumentare la trasparenza sull’evoluzione futura dei tassi di riferimento; la Banca del Giappone ha annunciato nuove e decise misure di stimolo monetario, per intensificare e rendere più credibile l’azione di contrasto della deflazione.

Negli Stati Uniti alcuni importanti accordi in materia di politica di bilancio tra l’Amministrazione e il Congresso hanno permesso di evitare la forte restrizione che a legislazione vigente avrebbe avuto luogo all’inizio del 2013 (fiscal cliff). Le incertezze circa l’evoluzione delle finanze pubbliche non si sono, tuttavia, dissipate, non essendo stato ancora approvato il bilancio per il prossimo esercizio finanziario, né definito un piano di riequilibrio a più lungo termine. In Giappone, nonostante l’elevato livello del debito pubblico, all’inizio del 2013 il governo appena eletto ha introdotto nuove misure di bilancio espansive, per circa due punti percentuali di PIL. Nel Regno Unito è proseguito, seppur più lentamente rispetto alle previsioni iniziali, il percorso di consolidamento dei conti pubblici avviato nel 2010.

Nei principali paesi emergenti le politiche monetarie sono rimaste prudenti, sia per il riemergere di spinte inflazionistiche, in India e in Russia, sia per i timori di un eccessivo surriscaldamento del mercato immobiliare, in Cina. In Brasile, invece, l’allentamento delle condizioni monetarie è stato più intenso, per contrastare l’indebolimento dell’attività economica. L’azione di sostegno delle politiche di bilancio ha operato principalmente attraverso gli stabilizzatori automatici; in alcuni paesi emergenti la dinamica del debito ha ripreso una traiettoria discendente, lasciando più ampi margini di intervento.

L’economia americana

Negli Stati Uniti il prodotto è aumentato del 2,2% nel 2012 (1,8 nel 2011). I consumi sono cresciuti dell’1,9% (2,5 nel 2011), più del reddito disponibile delle famiglie (1,5%); conseguentemente, il saggio di risparmio si è ridotto al 3,9%, dal 4,2 del 2011. Le condizioni patrimoniali delle famiglie sono migliorate, beneficiando della ripresa delle quotazioni immobiliari e della progressiva riduzione dell’indebitamento. In media d’anno, la spesa per investimenti fissi ha accelerato (all’8,7% , dal 6,6 del 2011), trainata dalla ripresa della componente immobiliare (al 12,1%, da -1,4) che ha più che compensato il lieve rallentamento di quella per investimenti produttivi (all’8%, dall’8,6).

Per il secondo anno consecutivo la produttività si è espansa a ritmi molto moderati; l’aumento del costo del lavoro per unità di prodotto è stato contenuto dal rallentamento delle retribuzioni orarie.

Le condizioni del mercato del lavoro sono rimaste deboli, risentendo della fiacchezza dell’attività economica. Nell’ultimo triennio è stato recuperato solo il 60% della perdita di posizioni lavorative avvenuta durante la crisi del 2008-09. Lo scorso anno l’occupazione dipendente del settore non agricolo è aumentata di 2,2 milioni di unità; alla fine del 2012 il tasso di disoccupazione, pur essendo diminuito di sette decimi di punto, era ancora al 7,8%. Per la prima volta dal 2008, la quota di disoccupati di lunga durata (oltre le 27 settimane) sul totale è scesa al di sotto del 40 per cento. Il calo del tasso di disoccupazione è stato favorito anche dalla diminuzione della partecipazione alla forza lavoro, che riflette sia fattori demografici e tendenze di lungo periodo dei comportamenti, sia la presenza di lavoratori che, date le attuali condizioni del mercato, sono scoraggiati dal cercare lavoro.

Nel corso del 2012, dopo circa tre anni di stagnazione dei prezzi e dei volumi delle transazioni, il mercato immobiliare ha segnato un’inversione di tendenza. Le condizioni di offerta dei mutui si sono allentate, benché solo per i prenditori ritenuti più solidi, e la consistenza dei mutui residenziali è cresciuta; si sono ridotte l’incidenza delle morosità e quella degli avvii di procedure esecutive, che rimangono comunque su livelli elevati nel confronto storico. Il numero di licenze per nuove costruzioni e quello relativo all’avvio di nuovi cantieri hanno nettamente accelerato rispetto al 2011.

L’economia giapponese

In Giappone il PIL è tornato a crescere nel 2012 (2,0%, dopo la caduta registrata l’anno precedente (-0,6%) a seguito del grave terremoto che aveva colpito il paese. L’attività economica è stata sostenuta dall’accelerazione dei consumi privati (al 2,3%, dallo 0,4 del 2011), dalla ripresa degli investimenti pubblici (cresciuti del 12,5% dopo la contrazione del 7,5 nel 2011) e da una più forte espansione della spesa pubblica corrente (2,6%, dall’1,4 dell’anno precedente). Per il secondo anno consecutivo le esportazioni nette hanno sottratto alla crescita quasi un punto percentuale. Nel corso dell’anno il tasso di disoccupazione è rimasto invariato, poco al di sopra del 4%, mentre l’occupazione ha continuato a ridursi, anche per effetto della diminuzione della partecipazione al mercato del lavoro. Non sembrano attenuarsi le pressioni deflazionistiche che affliggono il paese dalla fine degli anni novanta; nella media del 2012 l’indice dei prezzi al consumo è rimasto invariato (si era ridotto dello 0,3% nel 2011); al netto dei prodotti energetici e alimentari è calato dello 0,6% (-1,0 nel 2011). L’impulso espansivo della politica monetaria si è fatto progressivamente più deciso. Nel corso del 2012 la Banca del Giappone, pur mantenendo invariato l’intervallo per il tasso di riferimento (tra lo 0,0 e lo 0,1%), ha ripetutamente ampliato la dimensione del programma di acquisti di attività finanziarie (Asset Purchase Program). Secondo le più recenti stime dell’FMI, il disavanzo complessivo delle Amministrazioni pubbliche giapponesi è stato pari nel 2012 al 10,2% del PIL (9,9 nel 2011) e rimarrebbe elevato anche nei prossimi anni, risentendo delle misure espansive introdotte dal nuovo governo all’inizio del 2013. Il debito lordo delle Amministrazioni pubbliche, che l’anno scorso aveva raggiunto il 237,9% del PIL, aumenterebbe ancora nel 2013, portandosi al 245,0%.

L’economia della UE

Nell’Unione europea nel 2012 il PIL è tornato a ridursi dello 0,3% (era cresciuto dell’1,6 nel 2011); la contrazione è stata più pronunciata nell’area dell’euro:-0,6%, dopo un biennio di ripresa, risentendo della caduta degli investimenti e dei consumi delle famiglie. Alla contrazione delle principali componenti della domanda nazionale hanno concorso anche il peggioramento delle condizioni di offerta di credito a famiglie e imprese e il processo di consolidamento dei debiti, privati e pubblici, particolarmente intenso in alcuni paesi.

L’apporto della domanda estera netta alla crescita del PIL è stato positivo, nonostante il rallentamento delle esportazioni. Nel corso dell’anno l’indebolimento della fase ciclica si è esteso anche alle economie meno esposte alla crisi del debito sovrano. Le difficoltà congiunturali si sono riflesse in un peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro, più marcato per la popolazione attiva di età inferiore ai 25 anni. Il calo del PIL si è accentuato nell’ultimo trimestre del 2012, quando alla perdurante debolezza della domanda interna si è associata la flessione delle vendite all’estero. Nei primi mesi del 2013 il calo dell’attività economica è proseguito, pur attenuandosi (-0,2% in termini congiunturali secondo la stima flash). Nel 2012 è continuato l’aggiustamento degli squilibri di parte corrente dei diversi paesi che compongono l’area dell’euro, riflettendo sia l’andamento dell’economia sia miglioramenti della competitività, più marcati in alcuni paesi; si sono ridotti in misura particolarmente pronunciata i disavanzi che negli anni precedenti risultavano più elevati. L’inflazione al consumo è lievemente scesa, portandosi nella media del 2012 al 2,5%; al netto dei fattori fiscali, la dinamica dei prezzi al consumo nell’area si è collocata appena sopra il 2%. Alla moderazione delle quotazioni internazionali delle materie prime si sono contrapposti gli effetti degli aumenti delle imposte indirette varati in alcuni paesi nell’ambito delle manovre di risanamento delle finanze pubbliche. La dinamica dei prezzi è ulteriormente diminuita nell’anno in corso, raggiungendo l’1,2% in aprile; secondo le attese degli analisti nella media del 2013 si collocherebbe intorno all’1,5%. Le aspettative di inflazione relative agli orizzonti di lungo periodo sono in linea con la definizione di stabilità dei prezzi dell’Eurosistema.

Regno Unito. – L’espansione del prodotto nel Regno Unito si è sostanzialmente arrestata nel 2012 (0,3%, da 1,0 nel 2011), pur beneficiando di alcuni fattori eccezionali, quali il giubileo della Regina e i giochi olimpici di Londra nella scorsa estate, che hanno contribuito a sostenere i consumi. Mentre la domanda interna ha segnato una moderata ripresa, le esportazioni nette hanno fornito un contributo negativo alla crescita pari a quasi un punto, risentendo soprattutto della recessione nell’area dell’euro; nel 2011 avevano contribuito alla crescita per 1,4 punti percentuali. A fronte del debole andamento dell’attività economica, la dinamica dell’occupazione nel settore privato è stata molto vivace (4,0%, dall’1,0 nel 2011), determinando un ulteriore calo della produttività del lavoro. L’inflazione al consumo, che in settembre aveva raggiunto un minimo del 2,2%, favorita anche dal rallentamento dei salari nel settore privato, si è poi attestata al 2,4 nell’aprile di quest’anno. La Banca d’Inghilterra ha mantenuto il tasso di riferimento invariato allo 0,5%, ampliando il ricorso a misure espansive non convenzionali; la dimensione del suo bilancio ha così raggiunto il 26% del PIL (18 alla fine del 2011). Nell’anno fiscale 2012-13 il disavanzo del settore pubblico si è ridotto, in linea con le previsioni, al 5,6% del PIL, dal 7,8 del precedente. Secondo le più recenti stime del governo, il consolidamento in atto ridurrebbe il deficit al 3,5% del PIL entro l’esercizio 2016-17, un livello molto superiore alle previsioni formulate lo scorso anno (1,2%); resta tuttavia confermato l’obiettivo di conseguire il pareggio del bilancio al netto degli effetti del ciclo economico e delle spese per investimenti. L’avvio della riduzione del rapporto tra il debito pubblico e il PIL verrebbe posticipato di due esercizi, al 2017-18, principalmente per effetto del peggioramento della congiuntura. Secondo le più recenti stime dell’FMI, il debito lordo del settore pubblico, dal 90,3% del PIL alla fine del 2012, supererebbe il 100% nel 2016.

Paesi della UE dell’Europa centrale e orientale. – Dei dieci paesi dell’Europa centrale e orientale entrati a far parte della UE tra il 2004 e il 2007, tre sono già divenuti membri dell’area dell’euro (Estonia, Slovacchia e Slovenia). Nei rimanenti sette l’attività economica è fortemente rallentata nel 2012. La crescita del PIL, pari nel complesso allo 0,9% (3,2 nel 2011), ha mostrato tuttavia profili molto diversi: si è mantenuta su ritmi vivaci in Lettonia e Lituania, ha frenato sensibilmente in Polonia, ha ristagnato o si è contratta negli altri paesi. Nel 2012 l’inflazione al consumo si è attestata in media al 3,7% (3,9 nel 2011); l’andamento differenziato tra paesi è ascrivibile in parte a fattori di natura temporanea, in particolare per effetto di interventi sull’imposizione indiretta e sui prezzi amministrati e a rincari a livello locale di alcune materie prime. Nella prima parte dello scorso anno le banche centrali dei paesi che adottano un obiettivo di inflazione (Polonia, Repubblica Ceca, Romania e Ungheria) hanno mantenuto un orientamento di politica monetaria generalmente cauto, in ragione delle pressioni inflazionistiche e della elevata volatilità dei cambi. Successivamente, in Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria l’intonazione delle politiche è stata resa gradualmente più espansiva. La situazione dei conti pubblici ha continuato a migliorare anche nel 2012, nonostante le sfavorevoli condizioni cicliche. L’azione di risanamento delle finanze pubbliche ha consentito una riduzione dei disavanzi strutturali (ossia corretti per gli effetti del ciclo economico e delle misure temporanee) di entità pari a circa due punti di PIL in media, secondo le stime della Commissione europea. I saldi di parte corrente della bilancia dei pagamenti sono migliorati in quasi tutti i paesi rispetto al 2011, riflettendo il rallentamento della domanda interna.

Le principali economie emergenti: Cina, India, Brasile e Russia

Cina. Nel 2012 la crescita del prodotto cinese è stata del 7,8%,il livello più basso dal 1999. Il rallentamento ha riguardato tutte le componenti della domanda interna, a fronte di un contributo ancora lievemente negativo delle esportazioni nette (-0,2 punti percentuali). Nella prima metà dell’anno, oltre al deterioramento del quadro congiunturale esterno, hanno pesato negativamente le misure restrittive sugli investimenti immobiliari adottate nel 2011 e il venir meno degli effetti delle misure di bilancio espansive varate nel biennio 2008-09. Nello scorcio dell’anno le autorità hanno sostenuto temporaneamente il ritmo di attività economica anticipando la spesa per investimenti pubblici.

Nel 2012 è proseguito il graduale processo di riequilibrio interno dell’economia cinese. Tale processo è volto, dal lato dell’offerta, ad accrescere il peso del settore dei servizi e, dal lato della domanda, ad aumentare quello dei consumi, con l’obiettivo di ridurre l’eccessiva dipendenza dello sviluppo economico dalla crescita delle esportazioni e degli investimenti in capitale fisso. I redditi delle famiglie nelle aree urbane hanno continuato a crescere, sospinti dall’aumento dei salari dei lavoratori delle imprese private (14,0%), in larga parte rappresentati da immigrati provenienti dalle aree rurali. Il saggio di risparmio è ancora salito, al 32%, due punti percentuali in più rispetto al 2011, riflettendo probabilmente il ruolo crescente delle rimesse verso le aree rurali da parte dei lavoratori immigrati nelle città. L’inflazione al consumo, dopo il picco del 6,5% raggiunto alla metà del 2011, è tornata su valori contenuti, fino all’1,7% nell’ottobre 2012.

Dalla scorsa estate i prezzi delle abitazioni hanno ripreso a crescere, in risposta all’allentamento delle condizioni monetarie e creditizie: tra maggio del 2012 e marzo del 2013 l’incremento medio è stato del 16%.

La politica monetaria ha assunto un’intonazione moderatamente espansiva nel corso del 2012. In febbraio e in maggio la Banca centrale ha ridotto i coefficienti di riserva obbligatoria delle banche, complessivamente di un punto percentuale; in giugno e in luglio ha diminuito, per la prima volta dal 2008, i tassi di interesse di riferimento sui prestiti e sui depositi bancari, per complessivi 50 punti base (rispettivamente al 6,0 al 3,0%).

La politica di bilancio si è mantenuta moderatamente espansiva nella prima parte del 2012 e più orientata al finanziamento dei programmi di spesa sociale rispetto al passato. Nella seconda metà dell’anno, il governo ha accelerato l’approvazione di alcuni investimenti in infrastrutture, tornati a crescere al ritmo del 13% (in termini nominali) nel complesso dell’anno. Nel 2012 il disavanzo delle Amministrazioni pubbliche è salito al 2,2% del PIL (dall’1,3 nel 2011). L’incidenza del debito pubblico sul PIL, dopo aver toccato un picco del 33,5% nel 2010, sarebbe scesa al 22,8 nel 2012.

India. – Nel 2012 la crescita dell’economia indiana ha perso slancio, scendendo al 5,1% (dal 7,3 nel 2011), il valore più basso da circa un decennio. Il rallentamento ha riguardato anche il settore dei servizi, da cui origina oltre il 60% del prodotto complessivo. Il ritmo di espansione della spesa per consumi si è dimezzato, gli investimenti hanno ristagnato. Le esportazioni nette hanno fornito un modesto contributo positivo, grazie al più forte rallentamento delle importazioni. La crescita economica è risultata nettamente inferiore a quella prevista dal governo nel piano quinquennale relativo al periodo 2007-2012 (9,0%), non solo per l’operare di fattori ciclici, ma anche per problemi di natura strutturale. La Banca centrale indiana ha recentemente abbassato la stima della crescita potenziale dell’economia dal 9,0 al 7,0%. Le pressioni inflazionistiche – misurate dalle variazioni dell’indice dei prezzi all’ingrosso che costituisce il riferimento della politica monetaria – pur attenuandosi rispetto al 2011, sono rimaste elevate (7,5%, dal 9,5).

Nel 2012 e nei primi mesi di quest’anno la politica monetaria si è mantenuta accomodante, al fine di contrastare l’eccessivo rallentamento degli investimenti.

Il disavanzo delle Amministrazioni pubbliche è rimasto sul livello elevato del 2011 (8,3% del PIL), risentendo di un gettito inferiore alle attese e di una spesa ancora cospicua per sussidi pubblici al consumo di beni alimentari ed energetici.

Brasile . – Dopo il netto rallentamento nel 2011, il PIL brasiliano ha ristagnato nel 2012 (0,9%, dal 2,7). La contrazione degli investimenti, che insieme al decumulo delle scorte ha sottratto circa due punti percentuali alla crescita, ha riflesso il peggioramento del clima di fiducia, dovuto all’indebolimento della domanda estera e alle incertezze sulla direzione della politica economica. La dinamica dei consumi, invece, è rimasta sostenuta (3,1%; 4,1 nel 2011), propiziata da condizioni ancora molto favorevoli del mercato del lavoro, dove il tasso di disoccupazione è sceso al minimo storico del 4,6%. Nel corso dell’anno il governo ha introdotto diversi sgravi fiscali per favorire un recupero di competitività in alcuni comparti del settore manifatturiero; un impulso positivo alla crescita potrebbe derivare soprattutto dal nuovo piano di stimolo agli investimenti in infrastrutture varato nel 2012 e avviato nell’anno in corso.

Dall’autunno l’inflazione al consumo è risalita, raggiungendo il 6,5% corrispondente al limite superiore dell’intervallo-obiettivo della Banca centrale (4,5 ± 2%). L’incremento ha riflesso rincari dei prodotti alimentari e nel comparto dei servizi, che si sono trasmessi ai salari (cresciuti del 10% in termini nominali rispetto all’anno precedente) per il tramite dei meccanismi di indicizzazione automatica. La politica monetaria è stata espansiva, riflettendo i timori legati all’indebolimento dell’attività economica. Nel 2012 la Banca centrale ha ridotto ripetutamente il tasso di riferimento (Selic) fino al minimo storico del 7,25% raggiunto in ottobre. Lo scorso aprile, in seguito al deterioramento delle aspettative di inflazione anche su orizzonti di medio periodo, la Banca centrale ha interrotto questo corso, procedendo a un primo rialzo del Selic. Il disavanzo del settore pubblico allargato è salito al 2,8% del PIL nel 2012 (2,5 nel 2011). L’incidenza del debito pubblico sul PIL è aumentata al 68,5% del PIL, dal 64,9 del 2011.

Russia. – Nel 2012 la crescita del PIL russo è scesa al 3,4% (dal 4,3 nel 2011), risentendo dei persistenti vincoli all’espansione dell’offerta e del calo dei proventi derivanti dalle esportazioni di petrolio e di gas naturale. La dinamica della domanda interna si è mantenuta comunque robusta, sostenuta dalle condizioni favorevoli del mercato del lavoro e dalla forte espansione del credito a famiglie e imprese. L’inflazione, dopo aver superato nell’autunno 2012 la soglia limite del 6%fissata dalle autorità monetarie, ha raggiunto il 7,2 lo scorso aprile, sospinta dai rincari dei prodotti alimentari e di numerose tariffe regolamentate. Nel 2012 l’avanzo di bilancio delle Amministrazioni pubbliche è sceso allo 0,4% del PIL (dall’1,5 nel 2011), a causa delle minori entrate fiscali derivanti dal settore energetico; al netto di tali entrate, il disavanzo è salito al 11,0% (dal 10,0 nel 2011). Per ridurre la vulnerabilità delle finanze pubbliche alle fluttuazioni dei ricavi petroliferi, il governo ha varato nuove regole di aggiustamento della spesa sulla base dell’andamento dei corsi del greggio.

L’Economia Italiana

L’andamento marcatamente negativo del ciclo economico italiano per il 2012 è stato guidato dalla caduta della domanda interna. Nel 2012 il PIL dell’Italia è pertanto diminuito del 2,4%. La recessione, iniziata già a partire dalla seconda metà del 2011, ha interrotto la breve ripresa registrata nel corso dei due anni precedenti. La contrazione dell’economia italiana nel 2012, che ha riguardato sia l’industria sia i servizi, è stata in larga parte determinata dalle conseguenze della crisi del debito sovrano. Le tensioni sul mercato del credito e l’aggiustamento del bilancio pubblico hanno infatti inciso su tutte le componenti della domanda nazionale.

I consumi delle famiglie hanno poi anche subito gli effetti della flessione del reddito disponibile, riconducibile sia al carico fiscale, sia alle persistenti difficoltà del mercato del lavoro.

Nel 2012 la spesa delle famiglie quindi, dopo aver ristagnato nella media del triennio precedente, si è fortemente ridotta (-4,3% in termini pro capite attestandosi attorno ai valori del 1998), per effetto delle misure di correzione dei conti pubblici e delle sfavorevoli dinamiche occupazionali, oltreché per il deterioramento delle opinioni sulla situazione economica.

Sono così diminuite tutte le principali componenti della spesa, in misura particolarmente accentuata i beni durevoli (-12,7%), soprattutto mobili e mezzi di trasporto; le nuove immatricolazioni di autoveicoli si sono contratte per il quinto anno consecutivo (-20,0%), attestandosi al livello minimo da trent’anni. Anche la spesa per beni semidurevoli, principalmente vestiario e calzature, ha segnato una rilevante flessione (-9,4%, dopo aver ristagnato nel 2011). I consumi di beni non durevoli, che soddisfano bisogni difficilmente differibili nel tempo, sono diminuiti del 4,5% (-3,0 per la sola componente degli alimentari). Infine gli acquisti di servizi che si sono ridotti in misura più modesta (-1,4%, contro un incremento dell’1,6 nel 2011), a seguito della relativa tenuta delle spese per l’abitazione e per la salute.

L’incremento di incidenza di questi comportamenti di consumo è stato sensibile, in modo particolare al Nord, anche se è il Mezzogiorno l’area più interessata dal fenomeno. Alle sopravvenute difficoltà economiche le famiglie hanno poi risposto non solo riducendo la quantità o qualità dei prodotti acquistati, ma preferendo centri di distribuzione a più basso costo.

Da sottolineare è poi che, a differenza degli anni recenti quando, pur in presenza di una congiuntura sfavorevole, le famiglie avevano puntato a mantenere almeno in parte gli standard di consumo contenendo il risparmio, nel 2012, pur non essendo accaduto ciò, si rileva un’ulteriore diminuzione della propensione al risparmio, che raggiunge il suo minimo storico. Quest’ultima, un tempo punto di forza del sistema italiano, pur risultando ancora superiore a quella misurata in Spagna, si è attestata su livelli sensibilmente inferiori rispetto a quella delle famiglie tedesche e francesi, avvicinandosi addirittura a quella del Regno Unito, tradizionalmente la più bassa d’Europa.

La caduta della domanda interna non è da imputare solo ai consumi ma si è estesa anche alla componente degli investimenti, che hanno risentito delle difficili condizioni di finanziamento, degli ampi margini di capacità produttiva inutilizzata e dell’incertezza sulle prospettive della domanda. Dalle valutazioni delle imprese, emerge a partire dalla fine del 2011 infatti un generale e persistente inasprimento delle condizioni di accesso al credito, con un ritorno su livelli assimilabili a quelli del 2008 ed una durata di tali fenomeni molto più estesa. Per i casi di razionamento le difficoltà sono state maggiori per le piccole imprese durante tutto il 2012 e anche nei primi mesi del 2013 il divario dimensionale non appare ridursi.

Gli investimenti fissi lordi sono quindi diminuiti nel 2012 dell’8,0%; la flessione rispetto al 2008, solo temporaneamente interrotta nel 2010, ha così raggiunto circa il 20%. Il ridimensionamento è stato particolarmente accentuato per la componente dei macchinari, attrezzature, mezzi di trasporto e beni immateriali (-9,9%), a fronte di un calo più contenuto per quella delle costruzioni (-6,2%). La propensione a investire è scesa al 18,3%, al di sotto del minimo toccato nel 1994.

A partire dal 2011 la domanda estera ha quindi ripreso,dopo molti anni, il ruolo di principale motore della crescita ed in questo momento è l’unica componente che sta attenuando la profondità della recessione. Nel corso del 2012 la domanda estera netta ha fornito un impulso positivo all’espansione del Pil in tutti i trimestri dell’anno, ridimensionando tuttavia progressivamente il proprio contributo alla crescita. A differenza delle altre componenti della domanda quindi solo le esportazioni hanno sostenuto la crescita, pur rallentando. Nel 2012 le vendite all’estero di beni e servizi sono cresciute in volume del 2,3% (+5,9 l’anno precedente) riflettendo il rallentamento degli scambi internazionali (al 2,5%, dal 6,0 nel 2011).

Considerando la sola componente dei beni, che rappresenta oltre l’80%del totale, le vendite all’estero sono cresciute dell’1,9% nel 2012 (6,8 nell’anno precedente), poco meno del commercio mondiale (2,4%). Ha influito soprattutto il calo delle vendite verso l’area dell’euro (che pesano per il 40,5% del totale), la cui domanda si è ridotta. Le esportazioni hanno invece beneficiato appieno del recupero degli scambi internazionali sui mercati esterni all’area dell’euro, dove nel triennio 2010-12 le vendite sono cresciute a ritmi superiori a quelli della corrispondente domanda potenziale.

La forte contrazione sperimentata dalle importazioni ha poi permesso di conseguire un significativo avanzo commerciale. Le importazioni infatti, dopo aver ristagnato nel 2011, lo scorso anno hanno subito una diminuzione in quantità del 7,7%, in larga parte per effetto della contrazione degli investimenti e del rallentamento delle esportazioni che, tra le componenti della domanda, sono quelle caratterizzate dal maggior contenuto di input importati.

La caduta delle importazioni nel 2012 è stata più accentuata per i beni strumentali (-14,6% in volume secondo i dati di commercio estero). Si sono inoltre ampiamente ridotti gli acquisti dall’estero di beni di consumo (-8,0%), in particolare quelli durevoli, e di prodotti intermedi (-8,9%); su questi ultimi ha influito la diminuzione delle importazioni di celle fotovoltaiche, in seguito alla riduzione degli incentivi per la generazione elettrica con fonti rinnovabili. Sono diminuite anche le importazioni di beni energetici; il disavanzo della bilancia energetica si è tuttavia ulteriormente ampliato, in linea con l’aumento delle quotazioni del petrolio (0,9% in dollari e 9,2 in euro). A livello geografico la flessione delle importazioni di beni ha riguardato soprattutto gli acquisti dai principali paesi esportatori di celle fotovoltaiche, la Cina e la Germania; le importazioni da quest’ultimo paese hanno risentito anche della minore domanda di autoveicoli in Italia.

L’occupazione ha risentito del peggioramento dell’economia soprattutto nella parte finale dell’anno e nei primi mesi del 2013. Ad un calo degli occupati relativamente contenuto rispetto all’andamento dell’attività economica, è però corrisposta una riduzione più decisa delle ore di lavoro, in conseguenza dell’incremento della quota di occupati a tempo parziale e di un consistente ricorso alla Cassa integrazione guadagni. La flessione degli occupati si è concentrata, ancora una volta, tra i più giovani di entrambi i sessi.

Il tasso di disoccupazione, al 9,6% a gennaio 2012, ha toccato l’11,5% a marzo di quest’anno, anche in ragione della consistente riduzione dell’inattività. Cresce ancora e in misura significativa – di ben sei punti percentuali – il tasso di disoccupazione giovanile. Un altro segnale di criticità viene dal tasso di disoccupazione di lunga durata che sale di 1,2 punti.

Nonostante il quadro recessivo poi, l’inflazione al consumo è rimasta sostenuta fino ai mesi estivi e ha iniziato a ridursi, e in maniera decisa, solo a partire dall’ultimo trimestre dell’anno.

L’economia in Emilia Romagna

Dopo la debole crescita del 2011, lo scorso anno l'attività economica in Emilia Romagna si è contratta. Secondo le stime di Prometeia, il prodotto regionale è diminuito del 2,4%, portandosi sotto il livello del 2007 del 6,6%. L'andamento del prodotto ha risentito della marcata flessione della domanda interna, sia nella componente dei consumi sia in quella degli investimenti. Le esportazioni, pur in forte rallentamento in connessione con la decelerazione del commercio mondiale, sono state l'unico sostegno alla domanda, attenuandone la caduta.

In base a nostre stime, il terremoto, che nel maggio del 2012 ha colpito con ingenti danni alcune aree che rappresentano poco più del 10% dell'economia regionale, avrebbe accentuato di pochi decimi di punto la flessione del PIL della regione. Il rallentamento si è accompagnato a un calo dei flussi di ingresso nel mercato del lavoro, specie nell'industria, e a una diminuzione del credito utilizzato dalle imprese localizzate nei comuni colpiti.

Nell'industria gli ordini alle imprese si sono ridotti sensibilmente, con un'intensificazione del calo in corso d'anno. La contrazione della domanda si è riflessa negativamente sull'attività produttiva. La forte incertezza sulle prospettive di ripresa, i bassi livelli di utilizzo della capacità produttiva e le tensioni sull'accesso al credito hanno determinato una nuova diminuzione degli investimenti.

Nel settore delle costruzioni la fase negativa è proseguita anche nel 2012; si stima che il valore aggiunto del settore sia tornato sui livelli di oltre 10 anni fa. La nuova, forte caduta del numero di compravendite residenziali non si è tuttavia pienamente riflessa sul calo dei prezzi. Il settore dei servizi ha risentito della diminuzione della domanda interna. Nel commercio si è avuto un calo significativo, particolarmente accentuato per i beni durevoli; anche l'attività turistica è diminuita, per effetto della contrazione della componente domestica. In tutti i settori la crisi ha accresciuto il numero di imprese interessate da procedure concorsuali.

Il numero di occupati si è lievemente ridotto rispetto all'anno precedente; la flessione si è concentrata nell'industria. Dopo il calo del 2011, sono cresciute le ore autorizzate di Cassa integrazione, sia nella componente ordinaria sia in quella straordinaria. Si è ulteriormente intensificato il processo di ricomposizione della forza lavoro a favore delle classi più anziane, già in atto negli anni precedenti. Il tasso di disoccupazione è aumentato al 7,1%, il massimo storico, e al 17,4 per i giovani tra i 15 e i 29 anni.

Il deterioramento del quadro congiunturale si è riflesso sulla dinamica dei prestiti bancari alle imprese, diminuiti del 2,6% rispetto all'anno precedente. La flessione, sebbene generalizzata a tutte le categorie di prenditori, è stata più intensa per le piccole imprese e per quelle operanti nel manifatturiero. Come nell'anno precedente, si è concentrata inoltre sulle unità produttive caratterizzate già prima della crisi da una minore redditività e un più elevato indebitamento. I prestiti alle famiglie consumatrici hanno ristagnato.

Dal lato della domanda, alle maggiori richieste di credito delle imprese per la ristrutturazione del debito si sono affiancati l'indebolimento delle esigenze di finanziamento del circolante e la flessione della domanda finalizzata agli investimenti. Dal lato dell'offerta, le banche hanno inasprito le condizioni di accesso al credito ritoccando verso l'alto, come negli anni più recenti, i tassi di interesse. L'offerta di finanziamenti continua a essere frenata dall'elevato rischio percepito dagli intermediari, connesso con il deterioramento dell'attività economica e della qualità del credito.

Il flusso di nuove sofferenze in rapporto ai prestiti è aumentato attestandosi al 2,5%, un livello storicamente elevato. L'incremento è stato più accentuato per le imprese e, in particolare, per quelle della filiera immobiliare verso le quali il sistema bancario presenta un'esposizione elevata, prossima al 40% del totale dei prestiti alle imprese. Rimane, al contrario, sostanzialmente stabile la qualità del credito alle famiglie consumatrici. Altri indicatori sullo stato di difficoltà nel rimborso dei prestiti e che anticipano il manifestarsi di nuove sofferenze non fanno prefigurare un calo della rischiosità nel breve termine.

Dal lato della raccolta, al permanere di tensioni sui mercati interbancari si è affiancata una robusta ripresa della provvista al dettaglio, soprattutto dei depositi. Tale andamento ha riflesso sia le preferenze delle famiglie per un'allocazione del risparmio verso forme più liquide sia la modifica del regime di tassazione dei redditi finanziari che ha favorito una ricomposizione tra obbligazioni e depositi. È proseguita la ristrutturazione dei principali gruppi bancari nazionali che ha comportato un'ulteriore diminuzione del numero di banche e di sportelli operativi in regione.

(Fonti : Relazione Annuale e Considerazioni finali del Governatore di BANCA D’ITALIA all’Assemblea Ordinaria dei partecipanti del 31.05.2012, Bollettino Banca D’Italia Economie Regionali – L’economia dell’Emilia Romagna N. 9, e ISTAT Rapporto Annuale 2013 - La situazione del Paese).

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Andamento delle cooperative

aderenti all’Alleanza delle Cooperative Italiane Imola

Inquadrato il contesto macroeconomico internazionale e nazionale si vuole quindi a questo punto dar conto dell ’andamento economico 2012 del movimento cooperativo imolese per la prima volta quest’anno come Alleanza delle Cooperative Italiane Imola, costituitasi, per volontà delle cooperative del Circondario Imolese aderenti ad AGCI Bologna, Confcooperative Bologna Delegazione di Imola e Legacoop Imola, il 19 Settembre 2012, quale organizzazione territoriale facente parte del più ampio progetto nazionale dell’Alleanza delle Cooperative Italiane.

Occorre però premettere, come sempre facciamo, che onde meglio interpretare i dati aggregati raccolti e qui esposti, abbiamo cercato di tener conto, nella comparazione con gli andamenti tendenziali generali, nazionali e regionali, delle specificità dei vari settori e comparti, delle diverse situazioni economico-dimensionali delle nostre aderenti nonché di alcune particolari situazioni attinenti soprattutto alle cooperative non aventi sede legale nel nostro territorio ma solo strutture operative, i cui risultati ci sono stati forniti aggregati per macro aree di attività, provvedendo conseguentemente, senza entrare nel/nei casi specifici, a rimarcare o puntualizzare aspetti che meglio giustificano e commentano trend e risultati.

Le Cooperative aderenti all’Alleanza delle Cooperative Italiane Imola a fine 2012 erano pertanto 115 con un decremento del 4,96% sull’anno precedente, frutto di una sommatoria di nuove adesioni, chiusure di liquidazioni volontarie, trasferimenti di cooperative in altri territorio, e messa in liquidazione coatta. L’andamento in contrazione tuttavia non rispecchia fedelmente l’interesse generalizzato per la formula cooperativa, nell’avvio di nuove imprese, e i positivi riscontri a cui il costante lavoro di supporto, monitoraggio e promozione cooperativa delle nostre associazioni hanno portato, ma piuttosto una maggior cautela, in un periodo di crisi quale quello che stiamo vivendo, nell’ammissioni di nuove aderenti, facendola precedere da un periodo di accompagnamento anche nella fase di start up aziendale e non solo nella fase di costituzione.

E lo conferma l’andamento dei soci , incrementato del 2,22% sul 2011 passando dai 76.575 del 2011 agli attuali 78.274, sicuramente a seguito delle politiche attuate dal settore “Consumo e Dettaglianti”, soprattutto a favore dei soci interessati dagli ammortizzatori sociali, ma anche da un accreditamento più generale della cooperazione per l’attenzione ai bisogni : lavoro, assistenza, sanità, consumi e coesione sociale.

Per la prima volta però, dal 2008 – anno di inizio della crisi economica – dobbiamo rilevare che anche la cooperazione Imolese presenta tendenzialmente risultanze negative, ancorché contenute, segno che la contrazione del mercato mondiale oltreché della domanda interna stanno cominciando a minare anche un’economia efficiente, innovativa e patrimonializzata come quella del nostro Circondario.

Nello specifico pur risultando i dati positivamente influenzati da alcune grandi cooperative che, per settore di attività, dimensioni imprenditoriali e forte internazionalizzazione, hanno anche in questo 2012 conseguito performance positive e gratificanti, non sono più rinviabili le riforme strutturali, quali l’avvio delle grandi opere pubbliche, l’attuazione di politiche economiche a favore dell’internazionalizzazione e dell’innovazione, il risanamento del debito pubblico, l’istituzione di strumenti per mitigare le difficoltà di accesso al credito e soddisfare le esigenze di liquidità, da cui dipendono gli andamenti e la sopravvivenza di molte cooperative di medio piccola dimensione o operanti, direttamente o indirettamente, in settori fortemente colpiti dalla crisi e/o volti alla domanda interna.

Così non deve stupire il decremento del 3,67% dell’ammontare del prestito sociale che nel 2012 è pari a 137,156 milioni di € a fronte dei 142,378 milioni del 2011, in quanto riconferma solo una generale diminuita propensione al risparmio di tutto il sistema paese giunta al suo minimo storico, pur in presenza di una diminuzione/diversificazione della spesa delle famiglie, a causa della diminuzione del reddito disponibile per l’incremento della disoccupazione e del maggior utilizzo degli ammortizzatori sociali, l’aumento del carico fiscale e il deterioramento dell’opinione sulla situazione economica.

Onde quindi a questo punto monitorare l’andamento dell’occupazione anche nel nostro territorio non possiamo non tener conto di quanto avvenuto per l’occupazione fissa a livello nazionale (-0,3% media complessiva), nei vari settori di attività (industria manifatturiera -1,7; costruzioni –5,2; trasporti –1,1), e tra i giovani compresi tra i 15 e 29 anni ove la disoccupazione nella nostra regione raggiunge il 17,4%. Aumentano poi le ore di cassa integrazione, genericamente intese, (+12,1% mentre erano diminuite del 18,8% nel 2011), raggiungendo un livello pari al 3,6% del totale delle ore effettivamente lavorate dagli occupati dipendenti. In questo contesto le nostre cooperative evidenziano un calo degli addetti fissi di appena uno 0,34% passando da 7.901 unità a 7.874 nel 2012 (in valore assoluto 27 addetti in meno). Gli altri occupati calano invece del 6,39% passando da 1.079 addetti del 2011 agli attuali 1.010 per un totale di 8.884 occupati complessivi nel 2012 (-1,07% pari a 96 occupati in valore assoluto).

Due le sottolineature da fare in proposito : in primis gli altri addetti si riferiscano, come sempre, a quelli in forze al 31.12.2012 e non ad una media ponderata dell’anno: il dato non consente quindi di rilevare eventuali andamenti più positivi verificatisi in corso d’anno né il reale numero di addetti stagionali utilizzati che, in quanto prevalentemente occupati nel settore agroalimentare, molto spesso subisce una contrazione a fine anno rispetto al periodo estivo-autunnale; secondariamente che le cooperative, nell’ottica di tutelare i posti di lavoro fisso, a fronte di scenari macroeconomici ancora incerti, hanno ritenuto in molti casi, in questa fase, di non reintegrare/sostituire coloro che hanno usufruito delle politiche pensionistiche attuate dal Governo. Fino ad oggi quindi riteniamo che il calo rilevato nell’occupazione non sia ancora da attribuirsi a riorganizzazioni, licenziamenti ed esuberi ma piuttosto a mancate sostituzioni nei turn-over, onde salvaguardare i posti di lavoro oggi consolidati il più a lungo possibile eventualmente sopperendo a picchi di produzione con l’utilizzo di contratti a tempo determinato, piuttosto che contratti atipici, come per altro è avvenuto in tutto il nostro sistema paese. Ancora oggi quindi le altre forme contrattuali (che includono anche avventizi e stagionali) rappresentano solo il 11,37% del totale degli occupati.

Il perdurare però della crisi nel settore delle costruzioni, che vede un calo dell’occupazione nazionale, già nel 2012, del 5,2% e l’avvenuta messa in LCA a inizio 2013 di alcune cooperative aderenti, potrebbe influenzare in maniera più sensibile il dato del 2013.

Occorre quindi operare di concerto con Istituzioni, sindacati e aderenti affinché si realizzino le condizioni per la ripresa e lo sviluppo, nell’ottica che ciascuno deve fare la propria parte trasformandosi, innovando e investendo risorse proprie, adeguando la struttura produttiva e i modelli organizzativi ma con il supporto e l’impegno dello stato nel risanamento dei conti pubblici e del debito sovrano e il superamento sia delle debolezze strutturali del Paese che del sistema bancario, che deve condividere con i mercati i rischi insiti nel finanziamento alla clientela ed alle imprese.

Il capitale sociale, diviene quindi strumento indispensabile unitamente al patrimonio netto per migliorare le condizioni di accesso al credito, per investire autofinanziandosi, per catturare la disponibilità di altri investitori : la cooperativa non è infatti una società “scalabile” ma il legislatore ha predisposto strumenti per incentivare la patrimonializzazione delle stesse. Dobbiamo quindi oggi rivalutare tutte le opportunità possibili per migliorare rating e posizioni finanziarie onde accedere a quel credito indispensabile per l’internazionalizzazione, l’innovazione, la crescita ed eventualmente la ristrutturazione.

Pur non essendo ricompreso quindi, nel dato monitorato, il capitale sociale e il patrimonio netto delle cooperative aventi sede fuori del territorio, in quanto impossibile scorporare il dato relativo al solo Circondario Imolese, lo stesso ammonta a circa 150,9 milioni di € incrementandosi rispetto al 2011 dello 0,95% a conferma della partecipazione/coinvolgimento delle basi sociali alle politiche e scelte aziendali e della consapevolezza che le stesse attraverso le loro attività continuano a rispondere ai bisogni primari del singolo e della collettività (lavoro, casa, assistenza, educazione, sanità, credito).

E il patrimonio netto, pur parlandosi sempre di dati aggregati, anche in presenza di redditività aziendali in forte contrazione, continua a rilevare dati in aumento passando dai 1.747,88 milioni circa del 2011 ai 1.760,86 milioni di euro del 2012. Ciò non toglie le difficoltà cui anche le nostre cooperative devono far fronte relativamente a liquidità, onerosità e durata media del credito bancario, solvibilità dei creditori, possibilità di autofinanziamento degli investimenti ma ci tutela maggiormente, per le sue caratteristiche di indivisibilità, nei confronti degli Istituti bancari e nell’accesso al credito. Alta deve quindi rimanere l’attenzione e il senso di responsabilità dei Consigli di Amministrazione nel preservare e salvaguardare lo stesso in quanto garanzia dei terzi, dell’occupazione e della continuità aziendale ma soprattutto strumento indispensabile per l’indipendenza e l’intergenerazionalità della cooperazione, sia essa a mutualità prevalente che non.

Il ciclo economico italiano in questo ultimo anno è stato marcatamente negativo, determinato in larga parte dalle conseguenze del debito sovrano e dalle tensioni sul mercato del credito che hanno inciso su tutte le componenti della domanda nazionale. A ciò si deve sommare l’andamento dell’economia mondiale che non è ancora tornato su un sentiero sicuro di crescita, in quanto le economie emergenti e in via di sviluppo hanno rallentato, gli Stati Uniti sembrano solo avviati al graduale ritorno a ritmi di crescita, in quanto permangono incertezze circa l’evoluzione delle finanze pubbliche, in Giappone esistono rischi sulle politiche espansive adottate, il Regno unito ha ristagnato e l’Europa stenta a superare la recessione causa la crisi del debito sovrano di alcuni stati membri nell’area dell’euro.

Ora stante quanto premesso, in tempo di globalizzazione, è impensabile che le imprese cooperative del nostro territorio possano rimanere avulse dal contesto. Tuttavia gli andamenti, in termini di fatturato, risultano fortemente differenziati a seconda del settore di attività, delle dimensioni aziendali, della propensione all’export, della situazione patrimoniale e finanziaria, della flessibilità aziendale. Le imprese infatti meglio patrimonializzate, operanti in settori ad alta specializzazione, internazionalizzate, hanno saputo meglio di altre difendere le proprie posizioni sul mercato, competere, innovare, trasformarsi adattandosi alle nuove opportunità, consolidando trend positivi e/o di crescita, mentre le imprese prevalentemente legate al mercato interno (per la mancanza di investimenti e la contrazione della domanda interna), e/o a particolari settori, come pure quelle con forte indebitamento o produzioni a basso contenuto innovativo, hanno accusato ulteriori flessioni nella produzione, esigenze di liquidità e necessità di diversificazione.

Così ancorché, quest’anno, il Fatturato raggiunga, in valore assoluto, i 2.455,70 milioni di € con un +0,72% sul 2012, confermando sostanzialmente il dato dello scorso anno, occorre sottolineare come lo stesso sia fortemente influenzato dai risultati di alcune nostre grandi cooperative che sopperiscono agli andamenti e fatturati ancora ampiamente in controtendenza di molte altre cooperative. Relativamente all’Export premesso che raggiunge i 1.049,81 milioni di € con un decremento del 2,30% sull’anno precedente (in valore assoluto 24.693 milioni di Euro), occorre contestualizzarlo a livello macroeconomico ove il commercio mondiale di beni e servizi ha subito nel 2012 un rallentamento rispetto al 2011, crescendo di appena un 2,5% rispetto al 6% dello scorso anno, frenato dalla debole domanda dei paesi avanzati, le cui importazioni sono aumentate nel complesso solo dello 0,6% (5,00% nel 2011). L’Export continua comunque a rappresentare quasi il 43% del fatturato complessivo delle nostre aderenti, dimostrandosi condizione indispensabile per lo sviluppo e la crescita di molte di loro. Occorre quindi fare rete, puntare all’innovazione, alla qualità e alla specializzazione, alla capacità di essere presenti sui mercati più dinamici, alla diversificazione e alla ricerca per cogliere tutte le opportunità. E in questo le cooperative hanno dimostrato, con la loro storia, in altri momenti, di saperlo fare.

Così crediamo che, ancorché anche a livello nazionale vi sia una contrazione degli investimenti fissi, gli investimenti realizzati nel 2012, complessivamente pari a 67,64 milioni di euro (-28,45% sul 2011) altro non siano che il frutto di piani di investimento a più lunga durata (triennali e/o quinquennali), giunti a termine ed ai quali ne seguiranno, come sempre, altri nei prossimi anni. Le nostre cooperative e i loro manager hanno sempre dimostrato di credere nell’importanza dell’investire, del riqualificare, dell’innovare per competere ed essere leader nei propri mercati di attività, per accrescere qualità e business, per ricercare standard produttivi ancora più elevati di quelli già raggiunti, per acquisire nuovi know-how di prodotto e di processo, per migliorare competenze e progettualità, per rinnovarsi ed evolvere nel cambiamento.

Infine una riflessione sul risultato netto d’esercizio diminuito di ben il 44,27% sul 2011 e pari a 23,16 milioni di € in valore assoluto. Si tratta però ancora una volta di un dato aggregato che non evidenzia né le peculiarità dei diversi settori di attività né le diverse marginalità legate al mercato di riferimento (interno e/o internazionale). Le nostre cooperative infatti quest’anno, per la prima volta dopo quasi un ventennio, segnano, se analizzate singolarmente, prevalentemente andamenti negativi che tuttavia risultano positivamente influenzati da alcuni buoni risultati ottenuti da poche grandi cooperative del territorio. Le gravi debolezze strutturali del Paese, la pesante situazione del debito sovrano, la burocraticità dell’amministrazione pubblica, il ristagno della domanda interna, le difficoltà di accesso al credito e l’onerosità dello stesso, la dimensione media aziendale, il patto di stabilita, che vincola le Pubbliche Amministrazioni, il calo dei consumi delle famiglie, la diminuita propensione al risparmio, la contrazione del reddito disponibile delle famiglie hanno penalizzato in maniera generalizzata tutte le nostre cooperative dal settore costruzioni ai servizi, dal consumo all’agroalimentare, al sociale, generando una diminuzione dei volumi di beni e servizi prodotti, calo delle risorse finanziarie disponibili e redditività ridotta, che registra il valore più basso del quinquennio.

Conseguentemente, quanto le cooperative devolvono allo sviluppo del movimento cooperativo attraverso il versamento, ai sensi dell’articolo 11 della Legge N. 59/92, a COOPFOND Spa e/o FONDOSVILUPPO Spa, pari al 3% del proprio risultato d’esercizio, nel 2012 è complessivamente stato pari a soli 694.800 euro, a cui però, come sempre, vanno sommate tutte le erogazioni liberali che le cooperative aderenti, singolarmente o per il tramite delle proprie associazione di riferimento, devolvono volontariamente a favore della collettività e a sostegno di iniziative per lo sviluppo del movimento.

Da ultimo, abbiamo poi, anche quest’anno, monitorato il dato delle imposte accantonate dalle aderenti che complessivamente ammonta ad euro 20,5 milioni circa (erano 29,4 milioni nel 2011) a riconferma di come le nostre cooperative, pur se fortemente limitate nella distribuzioni degli utili e con marginalità calanti, siano chiamate a contribuite al gettito fiscale dello Stato e conseguentemente al ripianamento del debito pubblico.

Il 2012 presenta quindi un quadro che, dopo la debole ripresa registrata nel 2011, segna una nuova flessione. Le nostre cooperative hanno cercato ancora una volta, facendo perno sulla loro buona patrimonializzazione, sulla avanzata tecnologia di prodotto e di processo posseduta, sulla forte propensione all’export nonché, in alcuni casi e settori particolarmente colpiti dalla crisi in atto, facendo anche ricorso agli ammortizzatori sociali, di contrastare il circolo vizioso che, dalla fine del 2011, si è venuto a creare tra condizioni del debito pubblico, delle banche e del credito, e dell’economia reale, ma ora occorre rafforzare il coordinamento delle politiche economiche, di bilancio e finanziarie dei vari paesi delle Unione Europea, che il Paese avvii le improcrastinabili riforme strutturali che penalizzano l’economia Italiana, e modificare l’assetto complessivo del sistema finanziario italiano. D’altro canto è anche necessario che le imprese colgano la sfida del cambiamento, sappiano aprirsi alle nuove opportunità di crescita, trasferiscano competenze e professionalità, facilitandone la transizione, a settori di attività a più alto contenuto tecnologico, continuino ad investire per la specializzazione, l’innovazione e l’internazionalizzazione anche adeguando l’organizzazione produttiva e la struttura societaria. Il cambiamento non deve spaventare ma stimolare. La difesa del proprio particolare senza un’apertura al nuovo, al diverso rischia di far arretrare tutti. Occorre quindi che le cooperative in questo siano nuovamente di esempio, di traino, onde riaffermare efficienza e competenza ma anche consapevolezza, responsabilità, solidarietà e lungimiranza.

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Come sempre, poi, abbiamo monitorato alcuni indicatori desunti dai Bilanci Consolidati dei Gruppi Cooperativi presenti nel nostro territorio, in quanto rappresentano una modalità, ormai consolidata, di sviluppo di molte nostre importanti cooperative e consentono di meglio valutare il contributo economico delle stesse al territorio oltreché la reale valenza sociale in termini di occupazione e benessere sociale.

Abbiamo così preso in esame:

  • l’andamento degli addetti fissi che evidenzia nel 2012 un dato complessivo pari a 11.414 (- 1,31% sul 2011) testimoniando come le cooperative, in questo particolare momento, siano particolarmente attente alla tutela dei posti di lavoro, siano essi all’interno della cooperative che nel gruppo, pur se con una maggiore attenzione ai soci lavoratori.

  • Il fatturato e l’Export si attestano rispettivamente a 2.949,95 milioni di € (- 4,46%) e 1.487,58 milioni di € (-8,31%) riflettendo andamenti di maggior contrazione rispetto ai dati delle sole cooperative, sicuramente a seguito di una diminuita domanda mondiale ma, ancora una volta, di come le stesse abbiano privilegiato gli andamenti delle capogruppo eventualmente trasferendo/riportando, ove possibile, parte delle produzioni all’interno della cooperativa.

  • Gli investimenti ammontano complessivamente a 99 milioni di € con un decremento di solo il 20,34% rispetto al 2011 (-28,45% nelle sole cooperative), dimostrando la continua attenzione delle nostre cooperative all’innovazione e al cambiamento ma anche, se valutiamo i dati tenendo insieme andamenti di occupazione, fatturato ed export, come le stesse abbiano preferito avviare politiche e piani di ristrutturazione per il contenimento dei costi, tutelando il più possibile e prioritariamente il lavoro e la coesione sociale nel territorio in cui sono insediate.

Imola 12 Luglio 2013

Rita Linzarini

Funzionario Legacoop Imola

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